Il capitello di Aśoka

Sārnāth è un piccolo paese dell’Uttar Pradesh, a pochi km da Vārāṇasī. E’ uno dei luoghi fondamentali per il buddhismo perché, secondo la tradizione, è proprio qui che il Buddha pronunciò il suo primo discorso e “mise in moto la ruota del dharma” e perché ospita numerosi ed importanti edifici religiosi, nonché il famoso capitello di Aśoka – primo grande sovrano della storia indiana, siamo nel III/IV secolo a.C. –, emblema attuale della Repubblica Indiana.

© Caterina Berliri

Emblema, non solo per il suo oggettivo valore di opera storico-artistica, ma anche per il forte richiamo di identità nazionale: Aśoka fu esponente dell’impero Maurya, sotto il quale la maggior parte del subcontinente indiano si trovò riunito per la prima volta.
E’ importante sapere che i Maurya furono una dinastia locale e che tutte le dinastie successive sarebbero state di origine straniera. Da qui si può comprendere la portata simbolica del capitello, che fu cruciale nell’elaborazione di un linguaggio di rivalsa dalla dominazione coloniale inglese nel XX secolo.

Il capitello, in pietra estremamente polita, consiste in un abaco decorato con bassorilievi di figure animali che si alternano ad una ruota (cakra, pron. “chakra”). Gli animali qui rappresentati sono: elefante, cavallo, bue gibbuto, interpretabili come allegorie di diversi aspetti sociali: il bue gibbuto rappresenta il lavoro, la produttività, la vita attiva, mentre gli altri due sono associati alla regalità, al potere e alla maestosità.

© Caterina Berliri

L’abaco è sostenuto da un disco di pietra che richiama il pistillo di un fiore di loto, i cui petali scendono verso il basso andando a formare una base a campana di reminiscenza persepolitana. Verosimilmente la base poggiava su una colonna che, affondando nel terreno ancorata ad una lastra di pietra, acquisiva un forte valore cosmologico di axis mundi connettendo la dimensione terrena/umana a quella celeste/divina.

Al di sopra dell’abaco, e qui arriva il bello, si stagliano come simbolo solare quattro leoni attergati, ognuno con lo sguardo rivolto verso uno dei quattro punti cardinali, emblema del potere regale che si estende in tutte le direzioni. Le loro fauci schiuse a simulare un ruggito ne rimarcano la forza e l’autoaffermazione.

© Caterina Berliri

Sulla base di altre evidenze archeologiche (una replica a tutto tondo del capitello in Thailandia e una in bassorilievo sulla balaustra di un edificio buddhista a Sañci), si pensa che i leoni avessero un coronamento costituito da un cakra, la stessa ruota che si alterna agli animali dell’abaco.

Il cakra è un simbolo buddhista che indica il movimento del dharma, la legge, intesa come l’insegnamento del Buddha, il quale appunto veniva definito cakravartin, colui che mette in moto (vartin) la ruota (cakra).
La parola dharma viene dalla radice sanscrita dhṛ, che significa tener stretto/saldo, e, originariamente, indica l’ordine cosmico nella sua accezione armonica: è invero ciò che fa sì che l’universo sia cosmico e non caotico, inteso in senso dinamico e non statico.
Aśoka si arrogò volontariamente il titolo di cakravartin e spostò l’asse della sua simbologia da religioso a politico, imponendosi quindi come sovrano universale, che regge tutto il cosmo e ne garantisce il movimento, cioè la sua prosperità.

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