Gli indiani dimenticati in Giappone

Il 15 Agosto 1945 l’imperatore giapponese Hirohito dichiara via radio la fine della guerra per il Giappone. Da quel momento inizia l’occupazione americana e una lunga serie di processi che avrebbero portato all’incarcerazione e all’esecuzione di molti criminali di guerra nipponici, tra cui Tojo Hideki, il primo ministro che aveva ordinato nel 1941 l’attacco a Pearl Harbor. Quest’ultima è solo la più famosa delle tante atrocità commesse dall’impero giapponese durante gli anni della seconda guerra mondiale.

Una delle più feroci accuse caduta però nel dimenticatoio è quella di aver praticato cannibalismo con i corpi dei soldati nemici e dei civili, confermata poi da alcuni documenti ritrovati in Australia. Dopo la caduta di Singapore nel 1942 molti indiani divennero prigionieri di guerra del Giappone e vennero trasferiti via mare, in condizioni disumane, in alcuni campi di concentramento gestiti appunto dai soldati giapponesi.

Tali campi erano presenti sia sul suolo nipponico che in varie isole del sud est asiatico come ad esempio, la Nuova Guinea luogo in cui si è consumata la tragedia. In occasione di visite e controlli da parte dei rappresentanti della Croce Rossa, della durata massima di un paio d’ore, nei suddetti campi, veniva infatti proibito di interloquire con i prigionieri, di ispezionare solo determinate aree ed erano permessi esclusivamente colloqui pilotati con il comandante del campo per evitare domande scomode.

Circa 70 mila sono gli uomini che furono costretti a subire le angherie degli spietati ufficiali, alcuni di essi, per cercare di avere salva la vita, acconsentirono ad entrare nell’INA (Indian National Army), un corpo di forze armate, affiliato all’impero giapponese, che combatteva con lo scopo di ottenere l’indipendenza dall’Inghilterra.

Uomini indiani prigionieri durante la seconda guerra mondiale
Fonte: Times of India

Coloro che, invece, non vollero piegarsi al volere dell’impero del Sol Levante furono destinati ai lavori forzati nei campi, all’interno dei quali non si faceva alcuna distinzione tra ufficiali e civili indiani, che sovente, divenivano bersagli delle nuove reclute nelle loro esercitazioni. L’obiettivo delle torture inflitte era naturalmente quello di carpire quante più informazioni militari possibili dai prigionieri. Gli oppressi venivano in seguito giustiziati e seppelliti.

Dopo alcuni anni di torture e uccisioni a sangue freddo, nel 1946 un comunicato radio informava la popolazione indiana che il solo luogotenente Hisata Tomiyasu era stato individuato come il colpevole dell’eliminazione di 14 soldati indiani e dell’aver inoltre praticato cannibalismo nei campi di prigionia in Nuova Guinea, portando all’attenzione pubblica questo efferato crimine per anni tenuto nascosto dagli stessi giapponesi.

Come si evince dalla testimonianza di un sopravvissuto, Jemadar Abdul Latif, salvato dalle forze Alleate:

“I delitti e le torture eseguiti per ordine degli ufficiali nipponici avvenivano per aumentare l’affiatamento tra i soldati delle varie truppe: la carne veniva tagliata via dal corpo senza vita e poi cotta oppure fritta e spesso ad essere selezionati come vittime erano gli uomini più in salute a cui venivano dati degli incarichi da svolgere come pretesto.”

Altre testimonianze riportavano, come erano rare le occasioni in cui i giapponesi soffrissero di inedia, dato che si mostravano sempre come uomini forti e muscolosi con a disposizione patate, riso e pesce secco, pertanto non necessitavano di “cibo umano”.  

Per lungo tempo, dopo l’umiliazione della sconfitta, il Giappone ha negato di aver commesso tali deplorevoli atrocità nei confronti del popolo indiano finché, nel 1992, uno storico giapponese, Toshiyuki Tanaka, trovò delle prove inconfutabili sulla loro colpevolezza.

I soldati che non morivano nella sparatoria venivano uccisi dalle baionette
Fonte: Times of India

Ad essere liberati dagli alleati dai campi di concentramento furono solamente 5.500 indiani che avevano rifiutato di unirsi all’INA. Il Giappone ha sicuramente pagato un caro prezzo per tutti i crimini commessi, nonostante abbia  cercato in tutti i modi di insabbiare le delittuose azioni compiute.

Questi eventi storici, purtroppo, non hanno avuto una adeguata divulgazione e pertanto le vittime, di quello che si potrebbe definire un olocausto asiatico, rimangono tutt’oggi sconosciute, rendendo “uomini dimenticati” coloro che hanno combattuto duramente per i propri principi.

+ posts