Yoga e la danza
Uno dei modi più affascinanti e popolari in cui viene rappresentato il dio Shiva è quello “Nataraja” cioè re della danza. Questa rappresentazione iconografica, caratterizzata da forte dinamismo e simbologia, vuole esprimere tramite il danzatore cosmico la possibilità di creare armonia vitale. Shiva non è solo il dio distruttore, egli è anche il protettore dello Yoga, il deva della meditazione.
Tra i tanti miti che si sono sviluppati intorno a questa divinità pervenutici fino ad oggi, vi si trova quello di Matsyendranath, maestro e fondatore dello Hatha Yoga appartenente alla setta dei Nath, egli tenta non solo di legittimare il proprio ruolo di maestro ma anche di narrare l’origine dello yoga attribuendone connotati divini.
La leggenda
Secondo la leggenda Shiva, dopo aver trascorso un lungo periodo sul monte Kailash praticando la meditazione volle raccontare ciò che ne aveva appreso e dedotto alla sua consorte Parvati e affidarle le sue conoscenze (in questo caso Parvati è l’energia sakti di Shiva, cioè il potere del dio di dare luogo al mondo fenomenico). Matsya, il pesce, che vive nelle acque dell’oceano sente per caso le rivelazioni di Shiva e reincarnatosi in un uomo, diffonde lo yoga.
Shakti Dance
Unendo il mito al Kundalini Yoga, Sara Avtar Olivier ha creato un tipo di danza chiamato Shakti Dance. Gli obiettivi dello yoga della danza sono gli stessi di quello tradizionale: il centro delle pratiche è sempre l’espansione della consapevolezza rivolta verso un miglioramento. In questo tipo di pratica gli asana, cioè le posture dello yoga, hanno una funzione centrale rispetto ad altre metodologie che richiedono più concentrazione e maggiore attenzione sul respiro o sui punti del corpo. In questo caso sono la fluidità e la spontaneità ad essere elementi vincenti, donando nuovi connotati a tutti gli esercizi che già conosciamo.
La pratica
Prima di iniziare a danzare liberamente è necessario entrare in uno stato meditativo: tutto comincia recitando un mantra che viene cantato; si aggiungono lo stretching ed altri movimenti sia coordinati con il respiro che semplici passi di danza; da qui si giunge alla pratica vera e propria che unisce la recitazione del mantra al movimento del corpo creando una coreografia (questo passaggio è stato denominato “comunicazione celestiale”) , terminando il tutto con una meditazione silenziosa ed un ultimo mantra ripetuto 3 volte.
Guardando da vicino le sensazioni della pratica si osservano elementi che riconducono ad advaita vedanta, scuola di pensiero induista, nell’unione con il principio unico ed anche l’elemento dell’estasi descritta nella danza sufi quando si entra in contatto con il mondo celeste.
Namastè! Mi chiamo Valentina Savino e sono studentessa laureanda in Lingue e culture orientali e africane presso l'università "L'orientale" di Napoli. Studio attualmente le lingue hindi e urdu che sono per me le principali porte d'accesso alla cultura e alla società del subcontinente.