Bimala è una donna vedova che, trovatasi sola con due figli da mantenere è partita per cercare la fortuna fuori dal suo paese d’origine: il Medio Oriente era una grande promessa per tutti coloro che avevano bisogno di uno stipendio necessario alla sussistenza della famiglia.
Lasciati i figli in India, prega per quei quasi mille dirham al mese, poter permettere ai ragazzi di studiare ed avere una buona pensione. Appena arrivata però l’agenzia per il collocamento le trattiene immediatamente il passaporto e la porta subito nella casa della famiglia per la quale dovrà lavorare.
Dovrà rivolgersi alla signora esclusivamente con l’appellativo “Madam” e non le viene fatto firmare un contratto: da quel momento sarà di proprietà della famiglia che l’ha acquistata.
Nessun diritto, nessuna sicurezza economica, persino il cibo a volte non le è accessibile. Il cellulare le viene sequestrato durante le ore di lavoro, spesso estenuanti e ben superiori rispetto a quanto garantito prima della sua partenza.
Le viene affidato uno spazio in una casa in periferia, vive con altre donne provenienti dai posti più disparati: Kenya, Filippine, Somalia, Bangladesh e con loro condivide paure e delusioni domandandosi ogni giorno quando potrà riabbracciare i suoi bambini.
Nelle stesse case popolari vivono anche tanti uomini come Akash: intrappolato da anni a causa dello scadere del visto di lavoro, consuma l’intero stipendio per pagare i debiti imposti dal sistema, sono poche le occasioni per risparmiare un po’ di denaro e mandarlo a casa.
Lavorare nell’edilizia è non solo faticoso e pericoloso, ma non offre alcun vantaggio; i lavoratori come Akash, vittime della coercizione, non possono che vivere nello squallore……
Il diritto islamico giustifica questo tipo di rapporto con un lavoratore con la parola Kafala. Con il termine Kafala si intendeva l’affidamento di un soggetto alla cura di un altro, solitamente l’affidamento di un minore fino al raggiungimento della maggiore età senza entrare a far parte della famiglia. Questa legge è stata reinterpretata in un sistema di sfruttamento di lavoratori immigrati in Medio Oriente.
La kafala viene applicata specialmente per coloro che lavorano nel settore edile per gli uomini e quello domestico per le donne, secondo un sistema di sponsorizzazione del lavoratore.
La città di Dubai deve la propria immagine a questi lavoratori e alla loro sottomissione ai datori di lavoro, che rendono impossibile la fuga da tale rete: appena arrivati negli Emirati costoro perdono i propri diritti, il passaporto gli viene sequestrato e sono costretti ad orari di lavoro e condizioni di vita disumani. A testimoniare le condizioni dei lavoratori c’è il quartiere Sonapur, abitato da 150.000 persone provenienti dall’Asia meridionale.
Attualmente ci sono circa otto milioni di lavoratori provenienti dall’India residenti nei paesi del Golfo Persico. Circa il 30% della popolazione degli Emirati Arabi Uniti è indiana e la sua presenza ammonta a 3.5 milioni di residenti la maggior parte provenienti dal Kerala.
Il maggiore flusso di lavoratori dall’India iniziò nel 1973 e una grande diaspora avvenne tra il 1970 e il 1975 grazie all’estrazione del petrolio e il conseguente sviluppo. La storia delle migrazioni verso i paesi del medio oriente ha visto alti e bassi ma ad oggi la situazione sembra essere nota anche ai governi. Guardando la situazione attuale dei lavoratori sottopagati viene spontaneo chiedersi perché i governi si siano espressi poco a riguardo e se siano mai state trattate delle soluzioni.
Ci sono diverse spiegazioni all’inattività per contrastare il fenomeno: la prima è che l’India dopo l’indipendenza si è ritrovata a fare i conti con la povertà e i compromessi per un lavoro salariato interessavano poco gli emigrati, che avrebbero accettato qualsiasi condizione.
Una seconda motivazione è data dal background socioeconomico dei lavoratori i quali in patria erano solitamente impiegati nel lavoro manuale, provenienti dai ranghi più bassi e quindi sono stati meno influenti nelle politiche del governo e per questo non ne influenzarono le decisioni nemmeno indirettamente.
C’è comunque una speranza per queste persone dal momento che in patria negli ultimi due decenni si sono rafforzate consapevolezza e volontà di cambiamento.
Nel 2004 il governo Manmohan Singh fece un primo passo e stabilì il Ministry of Overseas Indian Affairs (MOIA) la cui missione era stabilire un quadro istituzionale solido per massimizzare l’impatto sullo sviluppo per l’India e consentire agli indiani d’oltremare di investire e beneficiare delle opportunità in India.
Nel 2016 Modi unì l’MOIA al ministero degli affari esterni riconoscendo la diaspora come parte integrante degli affari esteri. Nel 2019 si fece leva sull’ottenere un maggior numero di referti che riguardassero lo sfruttamento dei lavoratori all’estero e con il governo Modi le visite nei paesi del golfo sono aumentate.
Come forma di riconoscimento della diaspora in maniera simbolica Modi annunciò che il governo degli Emirati Arabi avrebbe fatto costruire un tempio hindu ad Abu Dhabi che in modo simbolico funzionerebbe anche come un centro di assistenza per la comunità.
Sebbene ci sia ancora molta strada da percorrere prima che i diritti vengano garantiti e mantenuti nel tempo, questi primi sprazzi di attenzione e responsabilità sembrano promettere maggiori soluzioni applicabili nel futuro.
Namastè! Mi chiamo Valentina Savino e sono studentessa laureanda in Lingue e culture orientali e africane presso l'università "L'orientale" di Napoli. Studio attualmente le lingue hindi e urdu che sono per me le principali porte d'accesso alla cultura e alla società del subcontinente.