La crisi in sri lanka continua

Sri Lanka : La crisi continua

Lo Sri Lanka ha dichiarato ufficialmente la bancarotta ad aprile 2022 e sta lottando contro un debito estero oggi pari a 51 miliardi di dollari. I fratelli Rajapksha si sono dimessi, volando a Singapore e lasciando il paese in una pesante situazione di impoverimento e instabilità economica, sociale e politica. La speranza è che Ranil Wickremesinghe, il nuovo Presidente, rimetta in sesto il paese, nonostante la popolazione abbia già espressamente (e violentemente) chiesto le sue dimissioni. 

La profonda crisi che sta vivendo lo Sri Lanka è la più grave nella storia del suo post-indipendenza. Procede a ritmo galoppante ormai dal 2019 con grande preoccupazione degli economisti che difficilmente intravedono una via d’uscita. Il 12 aprile l’ex isola di Ceylon ha dichiarato la bancarotta a causa del suo ingente debito estero e a luglio il presidente esecutivo si è dimesso, lasciando il paese in una situazione davvero complessa e drammatica. 

Nel paese si registra una carenza di benzina, gas, medicine e beni primari e nelle ultime settimane, il costo del petrolio e del diesel è salito vertiginosamente, le scuole sono state chiuse e si è chiesto ai lavoratori di evitare ogni spostamento non necessario. Secondo gli esperti, la crisi economica è il risultato di una cattiva gestione del governo negli ultimi due anni e mezzo.

Decisioni come il taglio delle tasse introdotto da Gotabaya Rajapaksha appena eletto a novembre 2019 hanno portato al declassamento del rating creditizio, rendendo difficile la strada dei prestiti dai mercati internazionali. Il COVID non ha fatto che peggiorare la situazione colpendo il settore del turismo, che era responsabile di circa il 25% dei guadagni in valuta estera.

Tuttavia, per molti, già le scelte politiche adottate alla fine della guerra civile nel 2009 avrebbero preparato questa debacle, portando all’indebitamento del paese. Negli anni successivi agli scontri tra tamil e buddhisti, la politica economica ha preferito concentrarsi sul proprio mercato interno, piuttosto che aumentare il commercio estero. Per Neil Devotta, professore di politica e affari internazionali alla Wake Forest University, la vera scintilla è scoppiata nell’aprile 2021, quando Rajapaksha ha annunciato il divieto di fertilizzanti e pesticidi con la speranza di poter risparmiare 400 milioni di dollari sulle importazioni annuali.

I governi successivi hanno poi continuato a fare affidamento su nuovi prestiti, sull’entrate del turismo e sulle rimesse internazionali per ripagare il proprio debito. Come coronamento di una lunga serie di scelte disastrose, si è aggiunta la decisione del governo di stampare denaro per pagare i beni, con l’inevitabile aumento dell’inflazione che oggi supera il 50%. 

Alla crisi economica si è aggiunta la crisi politica. Il divieto di fertilizzanti ha avuto pesanti ripercussioni sull’agricoltura ed i contadini sono stati i primi a scendere in piazza per manifestare contro le misure imposte da Rajapaksha. Di fronte all’evidente incapacità del governo di pagare ciò che sperava di importare, il malcontento si è diffuso anche tra gli impiegati di altri settori, che si sono uniti alla protesta degli agricoltori.

A maggio 2022, sono scoppiate diverse, violente manifestazioni dovute non solo alla mancanza di beni di prima necessità e numerosi blackout giornalieri, ma anche alla corruzione e indiscutibile nepotismo della stessa famiglia Rajpaksha con cui la popolazione singalese fa i conti da decenni. Il primo ministro, Mahinda Rajapaksha, è stato costretto a dimettersi.

Il popolo Protesta: La crisi continua in Sri Lanka
Il popolo Protesta: La crisi continua in Sri Lanka

Appena due mesi più tardi, anche Gotabaya Rajapaksha (fratello di Mahindra) ha lasciato la carica di Presidente, nominando Ranil Wickremesinghe suo successore. Wickremensinghe ha immediatamente dichiarato lo stato di emergenza ed ha imposto un coprifuoco alle province più ribelli nella zona occidentale del paese. Ciò ha provocato ulteriore agitazione tra la popolazione, finché a metà luglio migliaia di manifestanti hanno preso d’assalto l’ufficio del primo ministro chiedendo le sue dimissioni. 

In attesa di un governo politico stabile, lo Sri Lanka ha bisogno di tutto l’aiuto possibile da parte della comunità internazionale, che finora si è dimostrata comprensiva e disponibile. Gli stati esteri sembrano pronti a venire in soccorso, sperando di alleviare così le conseguenze gravose della crisi sulla popolazione. Il G7 – Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Inghilterra e Stati Uniti – ha già annunciato che aiuterà lo Sri Lanka a ridurre il suo debito. La Banca Mondiale ha accettato di prestare al paese 600 milioni di dollari, mentre l’India si è offerta di supportare l’isola con 1.9 miliardi. 

Negli ultimi anni, il governo Rajapaksha, il cui potere corrotto ha sposato un forte nazionalismo di tipo etnico, è stato impegnato nella costruzione di importanti (e inutili) infrastrutture, come il Mattaka Rajapaksha International Airport, un centro di conferenze, un campo da cricket e la Lotus Tower, la torre di comunicazione più alta del sud Asia (attualmente dismessa). Questi progetti sono stati finanziati dalle compagnie cinesi, che utilizzavano per i lavori i propri operai.

L’apparente sviluppo delle infrastrutture singalesi, tuttavia, proveniva principalmente da denaro estero, piuttosto che da servizi erogati dalla nazione stessa. E’ molto probabile che i prestiti cinesi ad alto tasso d’interesse abbiano dato una “leggera” spinta al debito dello Sri Lanka, che ad oggi deve tra i 5 e i 10 miliardi di dollari alla Cina. Risulta molto difficile pensare che la repubblica di Xi Jinping decida di tagliare il debito dal momento che altri paesi, come il Pakistan e alcuni stati africani, anche loro indebitati, potrebbero aspettarsi lo stesso.

Ad ogni modo, con i Rajapaksha fuori gioco, la Cina sarà costretta a collaborare con lo Sri Lanka e altri attori esterni se vorrà mantenere l’influenza sull’isola ed evitare che l’instabilità sociale e politica singalese diventi insostenibile. 

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Laureata Magistrale all’Università di Napoli L’Orientale, ho conseguito la laurea triennale all’Università di Venezia con la tesi “Ascetismo: i rituali della rinuncia”. I miei studi si sono concentrati soprattutto sullo studio della lingua Hindi e Urdu con un particolare interesse verso le religioni e le culture di questi due paesi. L’esperienza di studio presso l’Istituto Nazionale di Lingue e Civiltà Orientali di Parigi (INALCO) mi ha permesso di intraprendere lo studio della lingua telugu che mi ha portato ad avvicinarmi all’India del sud e, in particolare, alla sua evoluzione linguistica, letteraria e politica.